Il termine di lesioni potenzialmente maligne nasce dall’evidenza che:
-il cancro del cavo orale è spesso, se non sempre, preceduto da alterazioni genetiche della mucosa a volte precedenti il carcinoma di molti anni
-dalla presenza di alterazioni genetiche nelle zone periferiche al cancro
-dal fatto che la recidiva del carcinoma in loco dopo escissione chirurgica pare oggi da imputarsi a zone di mucosa con alterazioni genetiche residuate dopo escissione chirurgica della neoplasia.

DEFINIZIONE: oggi si è concordi nel suddividere le alterazioni potenzialmente maligne in:
-condizioni potenzialmente maligne: uno stato generalizzato della mucosa orale in cui esiste una maggiore probabilità di sviluppo del cancro. Questa definizione presuppone che il cancro possa svilupparsi in ogni parte della cavità orale e non necessariamente su una lesione pre-esistente. Esempio di condizione potenzialmente maligna è il Lichen Planus (vedi capitolo).
-lesioni potenzialmente maligne propriamente dette: una zona di mucosa orale geneticamente alterata nella quale il cancro è molto più probabile che si sviluppi rispetto ad una zona con normali caratteristiche.
Fanno parte di questo gruppo la leucoplachia (definita come lesione bianca della mucosa che non può essere ascritta a nessuna condizione patologica nota) e la eritroplachia (definita come lesione rossa della mucosa che non può essere ascritta a nessuna condizione patologica nota).

Lichen planus

Il lichen planus (LP) è una malattia mucocutanea cronica che presenta come meccanismo patogenetico una reazione autoimmunitaria di tipo cellulo-mediato contro le cellule dello strato basale (primo strato di cellule sulla membrana basale). Comunemente la malattia coinvolge la mucosa del cavo orale ed è di stretto interesse del patologo orale o dell’odontoiatra, ma può coinvolgere altre sedi quali la cute, il cuoio capelluto, le unghie e gli organi genitali maschili e femminili.
Il LP orale è una delle patologie più comuni nella mucosa del cavo orale e la prevalenza nella popolazione è circa dell’1-2%, senza particolari distinzioni o predilezioni razziali, ma con una prevalenza del sesso femminile. L’interessamento cutaneo è molto più raro ed è solitamente auto-limitante mentre le lesioni orali sono croniche e raramente vanno incontro a remissione.
PATOGENESI
La reazione lichenoide deve essere immaginata come un processo atto a distruggere uno o più cheratinociti in cui si è verificata una mutazione di un antigene self in seguito a diversi meccanismi (trauma meccanico, modificazioni legate a farmaci o sostanze locali o sistemiche, infezioni virali o batteriche).

CLINICA
Una lesione secondaria ad una reazione lichenoide può assumere differenti aspetti clinici oltre che per distribuzione all’interno del cavo orale, anche per quanto riguarda la morfologia della lesione che può assumere aspetti bianchi-reticolari (striate, papulari, a placca) , o rossi-atrofici/erosivi (erosioni, ulcere, bolle)

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Le lesioni reticolari e papulari sono le manifestazioni cliniche più comuni e più caratteristiche con un aspetto di linee che si intrecciano e congiungono tra di loro (strie di Wickham), mentre le lesioni a placca possono essere confuse con lesioni leucoplasiche. I quadri reticolari, papulari o a placca, pur modificando di aspetto e arrivando in alcuni casi ad estendersi per l’intero cavo orale, raramente possono dare sintomatologia, e sembrano riflettere la forma quiescente della malattia.
Le lesioni atrofico-erosive invece sono spesso sintomatiche e l’epitelio assottigliato sembra riflettere la forma attiva della reazione lichenoide.
Le più frequenti localizzazioni delle lesioni sono la mucosa orale posteriore, il dorso della lingua, la gengiva e il vermiglio del labbro inferiore. Nel circa 10% dei casi la reazione lichenoide risulta confinata alla gengiva aderente dando un quadro definito “gengivite desquamativa”

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DIAGNOSI
La diagnosi di “reazione lichenoide” impone la presenza di un quadro istologico specifico, caratterizzato dalla presenza di un denso infiltrato infiammatorio disposto al di sotto dello strato basale e composto prevalentemente da linfociti, segni di interruzione dello strato basale, presenza di corpi di Civatte

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L’immunofluorescenza diretta, indirizzata a mettere in evidenza depositi di fibrinogeno a livello della membrana basale o dei corpi di Civatte, viene solitamente eseguita in presenza di quadri erosivi e/o bollosi sospetti per patologie bollose.

EVOLUZIONE
Il lichen è una patologia cronica e se non viene individuata la causa, raramente va incontro a remissione spontanea, ma presenta andamenti altalenanti per quanto riguarda la morfologia delle lesioni e la sintomatologia clinica.
Una caratteristica unica tra le patologie autoimmuni del cavo orale sembra essere la potenzialità del lichen di andare incontro a trasformazione maligna. Effettivamente la W.H.O. (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha incluso nel 1997 il Lichen Planus tra i disordini potenzialmente maligni

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LEUCOPLACHIA, ERITROPLACHIA, LEUCO/ERITROPLACHIA

DEFINIZIONE: lesione bianca (leucoplachia), rossa (eritropachia) o bianco/rossa (leuco/eritroplachia) che non può essere ascritta ad una causa nota. Rappresenta quindi una diagnosi per esclusione.
PATOGENESI
Riconosce la stessa patogenesi del cancro orale; la comparsa di alterazioni geniche che si vanno a sommarsi nel tempo fino al momento in cui una nuova mutazione genica determina il passaggio da lesione potenzialmente maligna a cancro.

DIAGNOSI
per fare diagnosi di leucoplachia o eritroplachia occorre quindi escludere una qualsiasi entità patologica che si presenti con un aspetto bianco, rosso o bianco/rosso, ma che sia inquadrabile in una eziologia nota: lichen planus, lupus eritematoso, leucoedema, white sponge nevus, cheratosi da frizione, cheratosi da fumo ecc.
Occorre cioè seguire un percorso diagnostico ben preciso che parte dalla osservazione clinica, procede attraverso alcune procedure metodologiche e termina con l’esecuzione di un esame bioptico.
Una volta escluse le entità sopra descritte, mediante rimozione dei fattori causali (frizione, tabacco) o esame istologico della lesione (lichen, lupus, white sponge nevus) la diagnosi sarà di leucoplachia o eritroplachia o leuco/eritroplachia.

CLINICA
Macroscopicamente possiamo dividere le lesioni leucoplasiche, secondo Pindborg, in due forme principali:
Leucoplachie omogenee, le più frequenti; sono rappresentate da lesioni bianche lisce e uniformi, asintomatiche, con bassa potenzialità di trasformazione maligna

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Leucoplachie non omogenee (maggiore probabilità di trasformazione maligna); si manifestano clinicamente come:
leuco e/o eritroplachia erosiva con aspetti misti bianchi e rossi

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leucoplachia verrucosa semplice

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leucoplachia verrucosa proliferativa, caratterizzata dalla comparsa di lesioni multiple e progressive ad elevata potenzialità maligna

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PREDITTIVITÀ DEL RISCHIO DI TRASFORMAZIONE MALIGNA
Abbiamo definito una lesione potenzialmente maligna come una lesione con una discreta probabilità di trasformazione maligna. Tuttavia, non tutte le leucoplachie o eritroplachie si trasformeranno in carcinoma.
Ne consegue che una lesione può essere definita “potenzialmente maligna” o “pre-neoplastica” solamente a posteriori, cioè quando ha subito una trasformazione maligna.

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Ciò nonostante, la necessità di conoscere prima della trasformazione maligna, la lesione a rischio di trasformazione, ha spinto i ricercatori ad individuare alcuni fattori implicati nella prognosi di una lesione definita a priori “pre-neoplastica”.
Aspetto macroscopico: l’aspetto clinico della lesione può assumere, come sopra accennato, un valore predittivo del rischio (lesione omogenea rispetto a non-omogenea).
Aspetto istologico: la caratteristica che identifica il rischio più o meno elevato è la presenza/assenza di “displasia”. Si parla di displasia in presenza di atipie cellulari e perdita della normale maturazione e stratificazione dell’epitelio che possono essere localizzati negli strati più profondi (displasia lieve), medi (moderata) e superficiali (severa) dell’epitelio.
Biologia molecolare: rappresenta il presente/futuro e si avvale di markers che permettono al clinico un orientamento prognostico più certo e quindi una gestione più affidabile della lesione

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